Creatività: tra mito e realtà
Creare: una parola ricchissima. Termine ereditato senza alcuna variazione dal latino, ha in sé tanti significati importanti: generare, trasformare, ma anche produrre e far crescere. Alcuni la fanno derivare dal greco krainen, che significa portare a termine, fare. In genere però si pensa al creativo come a quella persona capace di grandi idee, ma che è anche un po’ sconclusionata e distratta. In che senso, quindi, la creatività è strettamente legata al “fare”? Per chi ha a cuore la propria salute psicofisica, questa domanda è essenziale. Sappiamo infatti che trovare o ritrovare la propria creatività può essere uno dei risultati più importanti di una psicoterapia.
Young (1985) tenta di dare una definizione di creatività, concetto che per sua natura non si fa delimitare facilmente. In essa cita il nuovo, l’andare oltre un confine attraverso l’immaginazione. E – aggiunge – ciò che è innovativo deve anche avere un valore. Ma cosa significa “avere valore”?
La creatività non è arte
Se state pensando che si stia parlando solo di arte, di scienza o di inventare qualcosa di complicato, siete fuori strada. Dice Maslow (1968): “È molto meglio fare una zuppa di classe che un dipinto di seconda scelta”. Ed ha ragione, perché la creatività è l’attuazione del nostro potenziale, l’espressione del nostro essere-in-divenire o, più semplicemente, talento. Che peccato quando un bravissimo cuoco si mette in testa di essere un mediocre ingegnere!
È democratica quindi la creatività: non esiste un’attività creativa più nobile di un’altra.
Essa porta in sé anche l’idea di flessibilità. Il creativo è la persona che sa adattarsi, ed è anche quello che riesce a plasmare nel miglior modo possibile la realtà intorno a sé. Riesce a “lasciare andare” e a controllare, trovando così nuove strade per uscire dalla propria zona di comfort ed andare verso l’ignoto.
Creatività e punti di vista
Paradosso, flessibilità, immaginazione sono quindi tre aspetti, e non i soli, della creatività. Mi viene in mente ciò che generalmente facciamo quando stiamo davvero male: rimaniamo fermi nelle nostre opinioni, siamo rigidi, e releghiamo immaginazione e fantasia a cose per bambini. Questo mi fa pensare che mantenere la creatività sia importante per la nostra salute. E non sono il solo a dirlo: mi fanno onorevole compagnia Jung, Moreno, Antonio Lo Iacono, Lowen, Lewin, e tanti altri. Provate a trovare un solo psicologo che dica che la creatività non ci faccia bene. Forse Freud è stato il meno “romantico”. Sosteneva, per dirla brevemente, che la creatività non fosse altro che uno “sfogo” della nevrosi. Poi uno si domanda perché Jung alla fine si allontanò da lui…
Eppure pensiamo a quella che spesso confondiamo con la creatività: non di rado, di un individuo che non riesce a impegnarsi, a portare a termine un progetto perché ne ha tanti, sempre con “la testa tra le nuvole”, perso nei suoi pensieri, magari anche un po’ solo e bohemien, se non addirittura un pazzo furioso, diciamo che è creativo. È questo, probabilmente, il genere di creatività che aveva in mente Freud. Quindi qui c’è una contraddizione!
La spontaneità ci piace molto ed è sicuramente una caratteristica di un individuo creativo, ma anche di una persona che non è ben adattata alla realtà. Essa però viene spesso confusa con la creatività. Non basta essere spontanei per essere creativi, dice Young (1985). E non basta nemmeno essere in pieno contatto con se stessi, con gli archetipi di Jung, con le energie della natura.
Creare universi
Pensiamo alla figura di J.R.R. Tolkien, lo scrittore che diede vita all’opera fantasy per eccellenza “Il Signore degli Anelli” (e anche “Lo Hobbit”, “Il Silmarillion”, “Racconti Incompiuti”, eccetera). Grazie alla sua fervida fantasia ha creato interi universi, creature di ogni tipo, persino linguaggi completi con la loro grammatica. Eppure, se oggi molti di noi conosciamo il suo lavoro, non lo dobbiamo solo alla sua fantasia. Tolkien aveva un metodo, una tecnica, dedicava tempo alla sua opera in maniera ben definita, ed utilizzava le sue conoscenze.
Era un professore universitario: la leggenda narra che mentre si stava annoiando durante un esame, la sua mano iniziò a scrivere su un foglio: “In un buco nella terra viveva uno Hobbit”. Quindi ci fu la scintilla, che come spesso avviene sopraggiunse in un momento di noia (per questo si dice di far annoiare i bambini, sennò non inventeranno i loro giochi), seguito da un periodo in cui oltre l’ispirazione c’era bisogno di metodo, tecnica, conoscenza, impegno.
D’altra parte, la creatività non può essere solo un metodo. Il brainstorming, per esempio, è un metodo che consente di inventare nuovi punti di vista. Essendo un metodo ha le sue regole, e ci sono fasi creative che non rientrano in nessuna regola. Ecco perché è così difficile trovarne una definizione.
Tuttavia, possiamo individuarne alcune caratteristiche. Immaginazione, abbiamo detto. E abbiamo aggiunto flessibilità, paradosso, impegno.
Si può imparare la creatività?
E ci si potrebbe anche domandare: creativi si nasce o si diventa? Non è una domanda da poco: se fosse vera la seconda possibilità, tutti potremmo diventare con un po’ di impegno, chi più chi meno, creativi. Se invece si trattasse di un dono, ci sarebbe ben poco da fare per molti di noi.
Uno studente di Young di nome Lin Schuler scrisse una meravigliosa poesia proprio su questa idea della creatività come dono. Leggiamola insieme (traduzione mia, abbiatene pietà).
Creatività in scatola
Quante volte in un mese, in un giorno, in un’ora, ho sentito
“sei così creativo, come fai, qual è il segreto, che fortunato sei”
sorrido, scuoto la testa, dico timidamente “non è niente”
perché è ciò che si si aspettano che io dica
la loro illusione che nessuno deve infrangere
la verità potrebbe scuotere la loro realtà
e potrebbe costringerli a cambiare le loro aspettative.
Pensano che io vada a casa la notte
prenda un apriscatole
apra la mente, ci metta una suggestione, mescoli un secondo
e – idea improvvisa.
Loro vogliono credere che funzioni in questo modo.
Vogliono credere che sia un dono, la creatività,
dato a pochi eletti.
A volte ho un’irrefrenabile voglia di
prenderli
scuoterli
dire loro che vivono in una fantasia più grande della mia.
Non è un dono, i doni sono gratuiti
la creatività è costosa
prende tutto ciò che sei
e poi ne chiede ancora…
Lin Schuler
Pensare che la creatività sia un dono è estremamente comodo. Pensare non solamente che essa possa essere appresa (o forse sarebbe meglio dire ritrovata), ma anche che si debba investire tutti noi stessi per costruire qualcosa di nuovo e condivisibile, può essere destabilizzante.
“Costruire qualcosa di nuovo e condivisibile”.
Generalmente pensiamo che la produttività non sia legata alla creatività, anzi a volte consideriamo questi due termini quasi agli antipodi. Si pensa che essa sia più “avere una buona idea”, che svilupperemo probabilmente, forse, mai. Eppure, la creatività senza prodotto può essere fonte di sofferenza. Come direbbero Lewin e Perls, può essere una Gestalt mai chiusa, ovvero un percorso interrotto, un processo che non è mai andato avanti.
Sono molte per esempio le persone che sostengono di stare scrivendo un libro. Da anni. O che hanno i loro sogni nel cassetto, ad ammuffire. O che sono grandi inventori che parlano sempre al condizionale, tanto da aver perso la fiducia in se stessi. Pagine di vita solo pensate, mai messe nero su bianco.
L’ispirazione richiede auto-disciplina per portare a creare qualcosa.
Perché, una volta avuta l’ispirazione, si deve lavorare sodo per conoscerla meglio, per approfondirla, per capirne le implicazioni e per poterla rendere comunicabile a se stessi e, se si vuole, alle altre persone.
Bibliografia
Young, J. G. (1985). What is creativity? The Journal of Creative Behavior, 19(2), 77–87.